Il dimissionario Moro fu incaricato da Segni, il 3 luglio 1964, di formare il nuovo governo. Era, o sembrava, prostrato dalla fatica di Sisifo che ogni Presidente del Consiglio italiano ha dovuto affrontare; e che era tanto più scoraggiante quanto più alte apparivano le probabilità che il Ministero in gestazione fosse una copia conforme di quello testé defunto.
Se Moro era stanco, il Presidente della Repubblica oscillava tra scatti di decisionismo e momenti di profondo abbattimento fisico e mentale. [...]
Il fatto è che a Segni il centrosinistra non andava a genio. Vedeva in esso la causa dell'improvviso appannarsi del "miracolo" italiano. Nenni, ricevuto dal Capo dello Stato proprio quel 3 luglio, s'era sentito apostrofare con queste parole: "È necessario che lo comprendiate: il Paese non tollera la vostra presenza al governo. Avete contro di voi tutte le forze economiche italiane. Non vi ostinate. L'unico contributo che potreste dare alla soluzione di questa crisi è il rifiuto di costituire una nuova edizione del centrosinistra".
Nenni aveva replicato che un Partito come il PSI non poteva rinunciare a una politica che gli era costata la scissione, solo perché il Presidente della Repubblica non era d'accordo. "Va bene, non posso costringervi" aveva concluso Segni "ma badate che se trasformate in legge il progetto urbanistico di Fiorentino Sullo e Riccardo Lombardi io mi rifiuterò di firmarlo e lo rimanderò alle Camere".
Per Moro, il problema era quello di mettere la sordina ai propositi socialisti di riforme incisive e traumatiche, e insieme quello di evitare che il filo ancora sottile con cui il PSI era stato agganciato alle responsabilità del potere e sottratto alle sirene comuniste, fosse d'un tratto vanificato. Segni voleva essere minutamente informato sullo svolgimento della trattativa: "Riferirò nelle fasi salienti al Capo dello Stato" aveva precisato Moro. E così si arrivò al 14 luglio.
A Villa Madama, dove le delegazioni erano riunite, le posizioni dei possibili alleati risultarono inconciliabili, la DC contro tutti gli altri su alcuni punti che, in prospettiva, possono apparire minori, ma che allora erano dirompenti: la legge urbanistica, la scuola, l'allargamento del centrosinistra alle amministrazioni locali. L'indomani i cocci furono faticosamente rincollati, e il 17 luglio l'accordo era fatto. Nel PSI, pur già amputato della sua ala "carrista", vi furono malumori vivaci. Giolitti lasciò il Ministero del Bilancio al più malleabile Giovanni Pieraccini, e Riccardo Lombardi rinunciò alla direzione dell' "Avanti", congedandosi con un editoriale polemico. I frondisti sostenevano che Nenni aveva impegnato il PSI in un centrosinistra senza più carica vitale, senza iniziative, asservito all'attendismo democristiano, e all'azione frenante di Segni. [...]
Indro Montanelli e Mario Cervi
("Storia d'Italia: L'Italia dei due Giovanni", Rizzoli, 1989)
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