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venerdì 9 agosto 2013

14 luglio 1964 - Complotto al Quirinale

 
 
Il dimissionario Moro fu incaricato da Segni, il 3 luglio 1964, di formare il nuovo governo.   Era, o sembrava, prostrato dalla fatica di Sisifo che ogni Presidente del Consiglio italiano ha dovuto affrontare; e che era tanto più scoraggiante quanto più alte apparivano le probabilità che il Ministero in gestazione fosse una copia conforme di quello testé defunto.
Se Moro era stanco, il Presidente della Repubblica oscillava tra scatti di decisionismo e momenti di profondo abbattimento fisico e mentale.   [...]
Il fatto è che a Segni il centrosinistra non andava a genio.   Vedeva in esso la causa dell'improvviso appannarsi del "miracolo" italiano.   Nenni, ricevuto dal Capo dello Stato proprio quel 3 luglio, s'era sentito apostrofare con queste parole: "È necessario che lo comprendiate: il Paese non tollera la vostra presenza al governo.   Avete contro di voi tutte le forze economiche italiane.   Non vi ostinate.   L'unico contributo che potreste dare alla soluzione di questa crisi è il rifiuto di costituire una nuova edizione del centrosinistra".
Nenni aveva replicato che un Partito come il PSI non poteva rinunciare a una politica che gli era costata la scissione, solo perché il Presidente della Repubblica non era d'accordo.   "Va bene, non posso costringervi" aveva concluso Segni "ma badate che se trasformate in legge il progetto urbanistico di Fiorentino Sullo e Riccardo Lombardi io mi rifiuterò di firmarlo e lo rimanderò alle Camere".
Per Moro, il problema era quello di mettere la sordina ai propositi socialisti di riforme incisive e traumatiche, e insieme quello di evitare che il filo ancora sottile con cui il PSI era stato agganciato alle responsabilità del potere e sottratto alle sirene comuniste, fosse d'un tratto vanificato.   Segni voleva essere minutamente informato sullo svolgimento della trattativa: "Riferirò nelle fasi salienti al Capo dello Stato" aveva precisato Moro.   E così si arrivò al 14 luglio.
A Villa Madama, dove le delegazioni erano riunite, le posizioni dei possibili alleati risultarono inconciliabili, la DC contro tutti gli altri su alcuni punti che, in prospettiva, possono apparire minori, ma che allora erano dirompenti: la legge urbanistica, la scuola, l'allargamento del centrosinistra alle amministrazioni locali.   L'indomani i cocci furono faticosamente rincollati, e il 17 luglio l'accordo era fatto.   Nel PSI, pur già amputato della sua ala "carrista", vi furono malumori vivaci.  Giolitti lasciò il Ministero del Bilancio al più malleabile Giovanni Pieraccini, e Riccardo Lombardi rinunciò alla direzione dell' "Avanti", congedandosi con un editoriale polemico.   I frondisti sostenevano che Nenni aveva impegnato il PSI in un centrosinistra senza più carica vitale, senza iniziative, asservito all'attendismo democristiano, e all'azione frenante di Segni. [...]
 
Indro Montanelli e Mario Cervi
("Storia d'Italia: L'Italia dei due Giovanni", Rizzoli, 1989)
 
 

lunedì 2 aprile 2012

Il Paese degli evasori



I ruoli dell'imposta di famiglia e dell' imposta complementare, esposti nei giorni scorsi negli uffici tributari dei comuni, hanno confermato agli italiani una notizia ormai consueta: quella cioè che i miliardari non esistono nel nostro paese e che appena poche decine di persone oltrepassano un reddito annuo di cento milioni.
Quest'anno poi, [...] molti nomi che eravamo abituati a considerare come i rappresentanti tipici della ricchezza, sono addirittura scomparsi dagli elenchi o hanno dimezzato le loro dichiarazioni fiscali.    I Torlonia, gli Agnelli, i Pirelli, i Crespi, i Falck, i Borletti, o si sono trasferiti in piccoli paesi della campagna lombarda, romana e piemontese dove riusciranno a concordare imponibili da commedia, o hanno messo in moto valanghe di ricorsi e nugoli d'avvocati e d'esperti fiscali per contestare gli accertamenti e loro carico o infine hanno congegnato le loro dichiarazioni tributarie in modo tale da apparire quest'anno poco più che nullatenenti.   Così i redditi superiori ai cento milioni sono in tutto a Milano non più che 19: questa cifra è ampiamente sufficiente per dare all'opinione pubblica la dimensione della truffa perpetrata ai danni dello Stato. [...]

(L'ESPRESSO - 5 gennaio 1964)