mercoledì 20 marzo 2013

I Barricati di Pisa (10-24 gennaio 1964)

Per due settimane i "rivoltosi" asserragliati a palazzo Sanminiatelli e nelle aule della "Sapienza" hanno sostenuto un vero e proprio assedio per affermare in modo clamoroso la necessità e l'urgenza di una riforma degli Atenei italiani.   Per farli desistere dall'agitazione le autorità accademiche avevano fatto bloccare il telefono, il riscaldamento e per alcuni giorni persino l'acqua.



Il "perché" iniziale della rivolta di Pisa consiste in una questione di libri.   Gli studenti di economia e commercio, che è una facoltà giovane la quale si appoggia alla più antica ed esperta facoltà di lettere, volevano per sé l'uso esclusivo di certi libri, al cui acquisto concorrono, e che invece vengono adoperati in modo privilegiato dai loro colleghi di lettere.   Prendendo pretesto da ciò, i "commercialisti" hanno richiesto che la loro facoltà, che non è ancora "statizzata" e vive di contributi vari, pubblici e privati, sia posta su un piede di parità rispetto alle altre e non debba, come attualmente accade, prendere a prestito dalla facoltà di lettere non solo i libri, ma anche i professori. [...]
Abbiamo assistito a una seduta dell'assemblea universitaria, con grappoli di studenti arrampicati su ogni sporgenza dell'aula magna.   Gli oratori si succedevano e polemizzavano pacatamente, non si udivano invettive all'indirizzo del Senato accademico, non venivano lanciati slogans: il pubblico applaudiva civilmente, con elegante distacco.   Senza quelle facce giovani e quell'accento toscano, sarebbe parso un dibattito alla Camera dei Lords.   Questo spettacolo di moderazione, favorito forse da quel pò di stanchezza che cominciava a scalfire l'iniziale entusiasmo, suscitò la nostra ammirazione.   Disse uno studente: "E che crede? Siamo gente seria".[...]
L'occupazione delle facoltà e gli scioperi negli Atenei, da parte di studenti, assistenti o membri del corpo insegnante, sembrano divenuti l'unico mezzo, in questi ultimi anni per richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica e degli uomini di governo sui problemi dell'Università. [...]


Nell'Italia odierna, lanciata verso il progresso, l'Università è un cammello che cammina su un'autostrada.   Ogni organo di questo grottesco animale è malato. Sclerotico è il corpo dei professori di ruolo, tra cui non sono pochi quelli che considerano la cattedra unicamente come un titolo che debba facilitare loro lo svolgimento di assai più remunerative attività private.   In questa categoria, estremamente gelosa dei propri privilegi, l'immissione di nuovi docenti avviene in misura assolutamente insufficiente se la si rapporta all'aumento della popolazione studentesca.   Gli iscritti alle Università italiane sono oggi oltre 250 mila e non provengono più esclusivamente da famiglie abbienti: una larga percentuale è costituita di figli di impiegati, artigiani, agricoltori.   Un tempo, per molti giovani economicamente privilegiati, la laurea era soprattutto un titolo di distinzione da iscrivere sulla carta da visita.   Oggi, la maggior parte degli studenti ha bisogno di essa per accedere a una carriera nell'amministrazione pubblica, nelle professioni liberali e nell'industria.   I programmi, invece, hanno un contenuto quasi esclusivamente scientifico, come se di ogni laureato si dovesse fare un professore. [...]



... per le famiglie che con sacrificio mantengono un figlio agli studi, talvolta in Università lontane dalle località in cui esse risiedono, prolungare il sacrificio finanziario per uno, due o tre anni supplementari diventa assai pesante.   Le tasse universitarie si aggirano sulle centomila lire l'anno.   Poi, per gli studenti che non vivono presso le famiglie, vi sono le spese di mantenimento.   Privandosi del cinema, rinunciando a frequentare una sala da ballo, tra camera ammobigliata e vitto uno studente spende, in una grande città, da cinquanta a sessantamila lire al mese.    I posti alla Casa dello Studente non sono sufficienti ad ospitare tutti i "fuori sede", e il vitto delle mense universitarie non è dei più prelibati. [...]
Per gli studenti disagiati, particolarmente meritevoli, è venuta la provvidenza del presalario.   Grande entusiasmo c'è stato tra gli universitari quando questa forma di aiuto è stata istituita, [...]
Poi ci si è accorti che, per avere diritto al presalario, occorreva per lo meno essere angeli con tanto di ali.   Non solo bisogna aver dato, anno per anno, tutti gli esami: si deve anche conseguire una media dei voti che risulta superiore alla media dei voti conseguiti collettivamente da tutti gli esaminati.   Questa è la ragione per cui, a quanto pare, dei due miliardi e ottocento milioni che lo Stato ha stanziato per i presalari del 1963-64, solo ottocento milioni hanno potuto essere distribuiti. [...]

Giacomo Maugeri

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