È giusto che un deputato abbia la pensione dopo cinque anni? Che abbia la tessera di libera circolazione sulla rete ferroviaria? Che abbia lo stipendio che ha, mentre ha anche un'attività extra-parlamentare che gli rende molto di più? E che adesso i parlamentari pensino ad aumentarsi ancora lo stipendio?
Carlo G., Torino
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Sono molte, moltissime, le lettere che giungono in questi giorni, per protestare in termini più o meno generici contro i guadagni dei parlamentari, ritenuti eccessivi e in contrasto con l'attuale politica detta dell'austerità credo sia bene chiarire alcuni aspetti di questa sgradevole controversia fra elettori ed eletti.
Deputati e senatori, nell'Ottocento, non ricevevano compenso alcuno per svolgere il loro mandato, ritenuto di per sè onore altissimo e quindi tale da soddisfare pienamente chi ne era insignito. Con l'avvento del suffragio universale, fu avanzata e approvata la proposta di concedere una indennità ai parlamentari, in modo da consentire anche l'elezione di persone meno abbienti. Giolitti ebbe a dire allora: "Noi non diamo l'indennità per favorire il deputato, ma la diamo sotto un solo punto di vista: quello di mettere l'elettore in condizione di poter mandare al Parlamento chiunque abbia la sua fiducia, in modo che questi abbia i mezzi necessari per poter vivere a Roma". Mi pare che su questa considerazione non si possano sollevare obiezioni.
L'art. 1 della legge del 9 agosto 1948, dice: "Ai membri del Parlamento è corrisposta una indennità mensile di L. 65.000, nonchè un rimborso spese per i giorni delle sedute parlamentari alle quali essi partecipano. La misura di tale diaria sarà stabilita dagli uffici di presidenza delle rispettive Camere....". A quanto ammonta, oggi, tale diaria? A 435.000 lire il mese, dalle quali vanno dedotte 5.000 lire per ogni seduta alla quale il parlamentare non è presente. L'assenza da una riunione di una commissione comporta invece una deduzione di 2.000 lire.
[...] un parlamentare molto diligente e assiduo a tutte le riunioni, che non debba contribuire alle spese del proprio partito, può arrivare a incassare circa 465.000 (le 35.000 mancanti sono versate al fondo di previdenza) il mese, con le quali deve provedere a mantenersi a Roma (se non è fra i pochi che abitano nella capitale), e ha da pensare a tutte le spese di posta, telegrafo e segreteria, inerenti al suo ufficio. In genere, si può dire che un parlamentare porti a casa, nel senso letterale della parola, fra le 250 e le 300 mila lire. Non è una cifra trascurabile; ma, oggigiorno (1964), il dirigente di un'impresa pubblica o privata guadagna di più.
Passiamo all'affare della pensione che desta tanto scandalo. [...]
L'art. 6 dice: "L'assegno vitalizio è fissato nella misura di lire 50.000 mensili dopo cinque anni di contribuzioni, con l'aumento di diecimila mensili per ogni anno di contribuzione in più, fino a raggiungere il massimo di lire 200.000 mensili".
[...]
Ettore Della Giovanna
(rubrica di "vita sociale" - Oggi, 9 aprile 1964)
L'art. 1 della legge del 9 agosto 1948, dice: "Ai membri del Parlamento è corrisposta una indennità mensile di L. 65.000, nonchè un rimborso spese per i giorni delle sedute parlamentari alle quali essi partecipano. La misura di tale diaria sarà stabilita dagli uffici di presidenza delle rispettive Camere....". A quanto ammonta, oggi, tale diaria? A 435.000 lire il mese, dalle quali vanno dedotte 5.000 lire per ogni seduta alla quale il parlamentare non è presente. L'assenza da una riunione di una commissione comporta invece una deduzione di 2.000 lire.
[...] un parlamentare molto diligente e assiduo a tutte le riunioni, che non debba contribuire alle spese del proprio partito, può arrivare a incassare circa 465.000 (le 35.000 mancanti sono versate al fondo di previdenza) il mese, con le quali deve provedere a mantenersi a Roma (se non è fra i pochi che abitano nella capitale), e ha da pensare a tutte le spese di posta, telegrafo e segreteria, inerenti al suo ufficio. In genere, si può dire che un parlamentare porti a casa, nel senso letterale della parola, fra le 250 e le 300 mila lire. Non è una cifra trascurabile; ma, oggigiorno (1964), il dirigente di un'impresa pubblica o privata guadagna di più.
Passiamo all'affare della pensione che desta tanto scandalo. [...]
L'art. 6 dice: "L'assegno vitalizio è fissato nella misura di lire 50.000 mensili dopo cinque anni di contribuzioni, con l'aumento di diecimila mensili per ogni anno di contribuzione in più, fino a raggiungere il massimo di lire 200.000 mensili".
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Ettore Della Giovanna
(rubrica di "vita sociale" - Oggi, 9 aprile 1964)
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