I dieci anni di televisione che hanno trasformato le sere degli italiani
Il televisore ha modificato le abitudini dei suoi utenti, e non sempre in senso positivo: ma è anche certo che il più alienante degli strumenti di comunicazione di massa ha contribuito alla modernizzazione del nostro paese.
Un piccolo comune all'estrema periferia settentrionale di Milano, un paesaggio squallido e disordinato di piccole costruzioni miserabili venute su spontaneamente nel caos dell'immigrazione. Non più una bidonville, ma ancora baracche, con pretesa di villette. Uno di quei quartieri che a Milano, con immagine tragicamente suggestiva, si chiamano "coree". Mi guida, lungo la strada fangosa, il vicesindaco del paese, un giovane democristiano. "la miseria negli anni del 'miracolo' ha cambiato un pò faccia da queste parti, ma la sostanza è la stessa. Le baracche di legno e latta, sono quasi scomparse, ma queste coree non sono in realtà molto diverse dai vecchi villaggi di capanne", mi dice mentre percorriamo la main street della 'corea', seguiti da occhi sospettosi che ci guardano da ogni finestra. "Qui vivono quasi esclusivamente immigrati meridionali", dice ancora la mia guida, "siciliani, calabresi, soprattutto. La densità media è di quattro persone per stanza, ma abbiamo casi di dieci e dodici persone in un locale". Guardo i tetti delle casette. Le antenne televisive non sono molte, ma su qualche costruzione se ne contano anche due o tre.
Entriamo in una casetta. Abbiamo scelto, per questa visita, la mattina di domenica. Per trovare a casa gli uomini. Al piano terreno, in tre stanze, due famiglie. Al primo piano, sempre in tre stanze, una famiglia. È quella del padrone di casa. È arrivato al Nord, da Gangi, dieci anni fa. [...] Affitta ad altri immigrati il piano terreno e seminterrato. Possiede la televisione? "Certamente", e me la mostra. Occupa il posto d'onore della stanza più grande che è la cucina, soggiorno, camera da pranzo e camera da letto della vecchia nonna. Ma anche una delle famiglie del piano terreno possiede la televisione. Sono otto persone in due stanze: padre, madre, sei figli fra i cinque mesi e i dieci anni. Parlo con il padre. Quanto guadagna? "Poco, cinquantamila lire al mese, sessanta, secondo i mesi". Che cosa fa? "Il manovale". Quanto spende per l'affitto? ''Non molto. Il proprietario è di Gangi, del mio paese. Mi favorisce. Gli do ottomila lire al mese. Quattromila per stanza''. E la televisione quanto gli costa? ''Mille lire d'abbonamento e diecimila di rata''. Cioè, la televisione gli costa più dell'affitto? “Sì”. Gli costa poco meno di un quarto del suo guadagno? Allarga le braccia. [...] Ma non preferirebbe un alloggio migliore, rinunciando alla televisione? Scuote la testa: “No, qui siamo sistemati meglio che a Gangi. Non è una gran casa, è piccola, ma è meglio della tana in cui vivevamo giù in Sicilia. E poi con la televisione si risparmia. Io alla sera non esco più, non vado al bar, sto a casa. E poi è buona per i bambini che possono vedere tante cose e conoscere il mondo e imparare”. […] penso subito ai discorsi che si ascoltano nelle case borghesi. “Per i bambini la televisione è un disastro. Li distrae. Non studiano più. Passano ore e ore a vedere sciocchezze. La TV li istupidisce, i bambini. A scuola non rendono”. […]
Senza dubbio la televisione ha modificato abbastanza profondamente le abitudini serali dei suoi utenti […] “Andavamo a letto alle otto” […] “E adesso guardiamo la televisione fino alle dieci, anche alle undici, secondo i programmi”. […]
[…] la televisione ha determinato quasi ovunque una rivoluzione nella disposizione dei mobili che non è soltanto di comodo. Il centro vitale della stanza di soggiorno (e della stessa cucina, quando i due locali coincidono) non è più il tavolo. Il tavolo è finito regolarmente in un angolo. Serve per mangiare, per fare i compiti, per stirare, ma non è più il luogo di raccolta della famiglia. Le nostre stanze si sono trasformate in piccole sale cinematografiche e basta sfogliare i giornali di moda per vedere con quanta periodica insistenza gli architetti offrano consigli sulla collocazione più idonea, ai fini televisivi, del divano, delle poltrone e delle seggiole. Ma il tavolo era un luogo di incontro. I componenti al famiglia si fronteggiavano, si guardavano negli occhi, si parlavano. Con la sistemazione televisiva tutto ciò è sparito. La famiglia si dispone in fila, in modo che ognuno possa avere la completa visibilità dello schermo e trascorre in silenzio le sue serate.
[…] “La TV mi diverte, mi fa passare il tempo, ma anche mi istruisce. Io sono andato a scuola. Fino alla quinta. Al mio paese, in Calabria, è già molto. […] Ma quello che imparo con la TV non l'avrei mai imparato neanche in dieci o venti anni di scuola. La TV mi fa vedere come vive la gente, quella che non è condannata come noi alla miseria. […] Certo mi fa anche sognare e desiderare, ma quando uno sogna e desidera pensa anche. Pensa al perchè certa gente ha belle case e belle donne e noi nulla. E così si impara”.
[...]”C'è sempre gente, forse più di prima, ma consumano meno” (dice il padrone di una osteria della Bassa Mantovana, con l'apparecchio televisivo, alto sopra un trespolo, di fronte a file ordinate di sedie), “prima discutevano, giocavano, cantavano e bevevano. Viene la gola secca a parlare e a cantare. Adesso guardano la TV. Con un bicchiere passano tre ore. Non se ne accorgono neanche, perchè presi dallo spettacolo. Ordinano negli intervalli, anche per non disturbare gli altri.
[…] Per milioni di italiani la TV significa isolamento, è vero, ma anche mezzo per penetrare in una realtà altrimenti esclusa e quindi sconosciuta
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